1988: il furioso omicidio del canaro della magliana
E’ una storia fatta di sorprusi, ricatti ed intimidazioni a cui la risposta fu un rancore sordo e grigio che, all’improvviso, crebbe a tal punto da trasformarsi in azioni raccapriccianti che al solo raccontale danno il voltastomaco. Questa storia comincia alle 8.30 di venerdì 19 febbraio 1988 su una radura disseminata di rifiuti dietro i palazzoni che dominano il quartiere del Portuense. Un allevatore che assieme al figlio ha portato a pascolare i suoi cavalli si accorge che, quello che sembrava un mucchio di stracci fumante, altro non è che il cadavere di un uomo. Un cadavere grande e grosso, ma reso irriconoscibile, non solo perché in parte carbonizzato, ma perché su quel corpo si è accanita una furia bestiale. Che quel cadavere appartenga a Giancarlo Ricci, 27 anni, ex pugile, piccolo malavitoso di quartiere, la polizia lo scopre grazie alle impronte digitali. Sulle prime quel ritrovamento sembra un messaggio. Chi ha ucciso Ricci voleva far capire che quella era una punizione, che quell’uomo era stato giustiziato, dopo essere stato orrendamente torturato, per aver commesso qualche imperdonabile sgarro, forse alla malavita, forse a qualche clan criminale meglio organizzato. Insomma un regolamento di conti nell’ambiente della criminalità. I resti martoriati di quel gigante la dicono lunga sulle sofferenze cui è stato sottoposto: sulla testa ha un enorme ferita che gli ha quasi aperto il cranio; in bocca ha i suoi genitali; due dita delle mani, asportate con un tronchese, gli sono state conficcate negli occhi; altre dita sono dentro il suo ano; le rotule delle gioncchia appaiono fracassate; non ha più il naso, troncato di netto, né le orecchie e neppure le labbra. Chi ha conciato in questo modo mostruoso Giancarlo Ricci? La polizia comincia subito gli interrogatori nell’ambiente frequentato da Ricci, il quartiere della Magliana. Interroga 85 persone prima di arrivare ad un altro piccolo delinquente del quartiere, Fabio, un amico di Giancarlo, che racconta: “L’ultima volta che ho visto Giancarlo è stato ieri pomeriggio: l’ho accompagnato ad un appuntamento che aveva in un negozio di toilette per cani, in via della Magliana 253. Poi non l’ho più visto”. Il negozio in questione è un buco, le pareti coperte da maioliche grigie, dove - tra gabbie, forbici, pettini di metallo, tronchesi e spazzole dentate - un uomo piccolo e mingherlino lava e tosa i cani. Si chiama Pietro De Negri, ha 32 anni, qualche precedente per furto ed una vita fatta di stenti. Ha una moglie, da cui è separato, ed una figlia che adora. Quando, sabato 20 febbraio, lo arrestano Pietro, detto “il canaro”, crolla. Prima racconta di essersi limitato a catturare e stordire Giancarlo Ricci e di averlo quindi lasciato ad una banda di siciliani che avrebbe fatto il resto. Poi, serrato dalle domande degli investigatori, confessa: “Quell’infame non moriva mai. Continuava a respirare. E’ stata dura. Ma se rinascessi lo rifarei. Il cadavere di quello zombie avrei voluto portarlo in piazza per metterci sopra un cartello grosso come una casa con la scritta: Ed ecco qua l’ex pugile!”. Il caso è chiuso. Dopo sette ore di torture è stato lui, Pietro De Negri, “il canaro della Magliana”, ad uccidere Giancarlo Ricci. Poi, avvoltone il cadavere in un sacco di plastica, lo ha gettato nel campetto brullo del Portuense, dandogli fuoco. Processato, “Pietro il canaro” è stato condannato, con sentenza definitiva a 24 anni di detenzione. Ma il 26 ottobre 2005, dopo averne scontati 16, l’assassino è stato rimesso in libertà dal Tribuinale di Sorveglianza di Roma. Perché De Negri lo ha fatto? E’ un folle oppure ha agito sotto l’effetto di una droga? La risposta a questi e ad altri interrogativi sta nel memoriale che De Negri scrisse all’indomani della sua cattura e che qui sotto pubblichiamo integralmente. Con un’avvertenza. E’ una lettura dell’orrore. Chi ha lo stomaco debole è pregato di astenersi. Etichette: Misteri d'Italia |
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