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16 maggio, 2008

Apocalisse a Dresda.

C’è un monumento nella parte settentrionale di Dresda che ricorda le vittime del quadruplice bombardamento del 13-14 e 15 febbraio del ’45 su Dresda. Sulla lapide sono poste due domande: "Quanti morirono? Chi conosce il numero?". Purtroppo il numero finale di morti non potrà mai essere definito con precisione: alcuni storici come David Irving ("Apocalisse a Dresda", 1963) calcolano 135000 decessi ma altre ricostruzioni storiche arrivano a cifre apocalittiche: 200000 morti, più delle vittime di Hiroscima e Nagasaki messe assieme, molte di più dei pur violenti bombardamenti su Berlino, Amburgo e Tokio nel corso della seconda guerra mondiale.
Come mai un numero così impressionante di morti in una città che arrivava prima della guerra a 630000 abitanti? Ma soprattutto, quali ragioni militari e politiche spiegano la decisione di bombardare un gioiello architettonico privo di obiettivi strategici? Chi ha preso la decisione? Sono tutte domande alle quali studi recenti danno una risposta in gran parte soddisfacente, ma non priva di zone d’ombra.



Il primo attacco, il 13 febbraio, durò dalle 22 e 9 fino alle 22 e 35 e sulla città furono sganciate circa 3000 bombe dirompenti e 400000 incendiarie. Molte dirompenti pesavano tra i 1800 e i 3600 chilogrammi. L’incursione della RAF colse di sorpresa abitanti e autorità. Nel sottosuolo erano state costruite molte gallerie ma queste strutture erano del tutto inadeguate di fronte alle incendiarie le quali appiccavano rovinosi incendi che penetravano facilmente nei rifugi antiaerei non dotati di ventilazione. I singoli rifugi erano divisi da pareti che all’occorrenza erano facilmente abbattibili, tutto questo facilitò il propagarsi dei gas caldi uccidendo migliaia di persone asserragliate nei rifugi.

Durante il secondo attacco, il 14 febbraio, dall’1 e 22 all’1 e 54 , su una città già violentemente colpita, furono sganciate circa 4500 dirompenti e 170000 incendiarie. Nelle due operazioni vennero utilizzati 1400 bombardieri con 6000 aviatori. L’intervallo di 3 ore doveva servire per colpire anche le strutture antincendio e di "protezione civile" che nel frattempo sarebbero affluite a Dresda. Contemporaneamente sarebbe stato possibile sorprendere la popolazione fuori dai rifugi.



Ormai è chiaro qual era l’obiettivo: infliggere danni gravissimi alla città colpendo la parte più debole ma anche estranea alla guerra: gli abitanti e i profughi dell’Est privi di protezione da parte delle autorità militari tedesche.

Al termine del secondo attacco la città era un gigantesco incendio visibile nel buio della notte a centinaia di chilometri di distanza. Il denso fumo nero che si alzava era causato dalle strutture delle abitazioni che ardevano ma anche dalla combustione di migliaia di corpi di civili.

Il terzo attacco, sempre il 14 febbraio, però questa volta in pieno giorno, riversò su Dresda 1500 dirompenti e 50000 incendiarie. Furono impiegate 1350 fortezze volanti e Liberatores 14 ore dopo il primo attacco.



Il quarto attacco su una città che continuava ad ardere avvenne il 15 febbraio, durò circa 40 minuti in pieno giorno, e riversò sulla città 900 dirompenti e 50000 incendiarie. Gli ultimi due attacchi furono condotti dall’aviazione americana.

L’obiettivo erano ancora i civili, infatti furono utilizzate ancora le incendiarie e soprattutto i terribili "Mosquito" i quali mitragliavano, passando appena sopra i tetti delle case, tutto ciò che si muoveva. Così i civili che miracolosamente erano sopravvissuti furono mitragliati dai piloti americani vicino al fiume e nei parchi cittadini dove l’entità delle distruzioni era minore. L’ultimo attacco ci fu il 2 marzo quandi più di 1200 bombardieri finirono di distruggere il poco che ancora era rimasto in piedi nella città. Anche questa volta lo scalo ferroviario non fu colpito.

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