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06 maggio, 2008

LA DIPLOMAZIA ITALIANA OGGI E IERI

L'ambasciatore italiano della repubblica dello Yemen mi ha cortesemente chiesto di pubblicare un'altra email , mi sembra il minimo che possa fare , per dare voce a chi si muove sul campo mentre i nostri TG stanno zitti




Mario Boffo
Ambasciatore d'Italia nella
Repubblica dello Yemen
ho ricevuto per caso due articoli che ben rappresentano l'odierno ruolo della diplomazia italiana
oggi, al servizio del Paese (quindi, benché non sia a tutti evidente, anche di tutti voi...) e la nostra
grande tradizione di coraggio, umanità e solidarietà.

Ve li invio in allegato, sperando che possano interessare almeno a qualcuno di voi.

La diplomazia soffre di tanti infondati stereotipi. Abbiamo per caso avuto, in questi giorni, occasione di
parlarci.

Vi invito a farvi portavoce di quanto avete appreso su di noi e sul nostro lavoro.

Con un cordiale saluto a tutti.



Cari Soci,

si riporta di seguito la trascrizione del servizio dedicato alla Farnesina giovedì scorso dal Magazine settimanale del "Corriere della Sera".
In calce, si propone l'articolo del "Giornale" del 30 aprile scorso, che anticipa la pubblicazione sulla rivista "Nuova Storia Contemporanea" di un saggio sulla vicenda che vide protagonisti due diplomatici italiani impegnati nel favorire la fuga di ebrei polacchi dalla Varsavia occupata dai nazisti: Mario Di Stefano e Giovanni Vincenzo Soro. Una volta pubblicato il saggio, sarà nostra cura proporvelo integralmente.

cordialmente,
la segreteria


“Corriere della Sera Magazine”, 1 maggio 2008, pp. 68-69


LA “SECOND LIFE” DELLA FARNESINA

CAMBIO GENERAZIONALE. APERTURA DI AMBASCIATE IN KOSOVO E MOLDOVA. VISIONE PIÙ "COMMERCIALE".
UNA RIVOLUZIONE CULTURALE BIPARTISAN INVESTE IL MINISTERO DEGLI ESTERI. PORTANDOLO PURE NEL "MONDO VIRTUALE" DI INTERNET

di STELLA PRUDENTE

Prodi ha ritirato le truppe dall'Iraq e il Cavaliere si è già rischierato con Israele. Ma ci sono alcune grandi questioni, come la sicurezza energetica dell'Italia o la sua capacità di cavalcare la globalizzazione, che non possono essere affrontate voltando pagina a ogni governo. Per questo alla Farnesina è in atto ormai da anni una profonda “rivoluzione culturale”, proprio per dare coerenza e strumenti adeguati a un Paese che ha cambiato 16 legislature in sessant'anni e nella politica estera ci investe soltanto lo 0,11 % del Pil. È partita nel precedente governo Berlusconi, proseguita nel biennio dalemiano e andrà avanti, inevitabilmente, anche con il nuovo ministro. Tutti consapevoli che «le sfide planetarie presuppongono un quadro di riferimento comune», come hanno detto in coro Luca di Montezemolo, D'Alema e Franco Frattini in una tavola rotonda alla Luiss solo un paio di settimane prima del voto. Quella volta sì, che si respirava davvero un clima da larghe intese. Per una migliore proiezione internazionale del sistema Italia, con il suo tessuto di imprese, realtà locali, ong, il ministro degli Esteri uscente aveva avviato in novembre un gruppo di riflessione strategica sugli scenari a lungo termine. Ne è uscito il "rapporto 2020", a cui hanno contribuito militari, industriali, think tank di entrambi gli schieramenti, lo stesso Frattini quand'era ancora Commissario europeo. L’attuale numero uno diplomatico della Farnesina, il segretario generale Giampiero Massolo, confida che il gruppo di riflessione di D'Alema diventi un "tavolo permanente" per dare un peso politico all'assioma di berlusconiana ispirazione che il ministero degli Esteri deve perfezionarsi come "gestore di rete" ­ forte dei suoi 360 uffici in tutto il mondo - e l'ambasciatore del futuro sarà un "manager del sistema Italia". C'è aspettativa, quindi, sull'integrazione nella Farnesina del Commercio Internazionale.
Anche qui, il consenso politico è quasi unanime, ma si cerca ancora di quantificare la portata di uno tsunami che coinvolgerà luoghi fisici e persone, e comporterà anni e anni di interventi e paziente bonifica per salvaguardare il ruolo dell'Ice, l'ente pubblico a cui spetta la promozione dei rapporti economici e commerciali italiani con l'estero.
Per portarsi avanti, i giovani diplomatici che lavorano al progetto che potremmo definire "Farnesina today" hanno messo in piedi un oleato meccanismo di riforma che riguarda organizzazione, strumenti e personale. Intanto è partito un gruppo di lavoro "sistema Paese": al suo interno c'è un tavolo di concertazione con il compito di orientarne l'attività ("steering group") con diplomatici, rappresentanti di Confindustria, Ice, mondo bancario. Si è aggiunta poi una struttura ad hoc per i rapporti con le realtà produttive e le autonomie locali nelle loro attività con l'estero. Sempre Frattini, in campagna elettorale, lamentava una «balcanizzazione in cui ognuno va da sé», e «non solo le regioni ma addirittura le città vogliono stringere accordi internazionali e commerciali, creando indubbiamente problemi». Anche per evitare questo rischio lo steering group sta elaborando un metodo di valutazione delle iniziative all'estero da «incrociare» con quelli delle aziende, con lo scopo di «monitorare i seguiti delle missioni Governo/Confindustria e migliorarne la pianificazione» spiega il portavoce del ministero, Pasquale Ferrara. Il piano di ristrutturazione della rete prevede chiusure di sedi, accorpamenti di funzioni, e l'apertura di nuove ambasciate, come quelle in Kosovo e Moldova, oltre a consolati in Russia, Cina e India.


IL FUTURO? TUTTO DIGITALE
Dal punto di vista delle gerarchie, invece, al sistema piramidale se ne va sostituendo uno più agile e "operativo" con due vice del segretario generale. Il primo si occupa del funzionamento e messa a punto della macchina (ricopre ora l'incarico Carlo Maria Oliva) e l'altro (non ancora nominato) dovrà coordinare la posizione dell'Italia sulle questioni-chiave della politica internazionale.
In prospettiva, «per la carriera diplomatica vi dovrà essere una gestione più razionale e attenta delle risorse umane», illustra Ferrara, mettendo l'accento sull'importanza del rinnovo generazionale. Ma il fiore all'occhiello è la svolta tecnologica, che verrà presentata al Forum PA di maggio: si va dal "Consolato digitale" - che partirà entro la metà del 2009 con la carta d'identità elettronica e l'iscrizione online per l'anagrafe degli italiani all'estero - all'Istituto Italiano di Cultura su Second Life. L'investimento nell’innovazione è aumentato del 32% negli ultimi due anni. Al passo coi tempi per non restarne schiacciati. E un nuovo esecutivo che si insedia mentre siamo nel Consiglio di Sicurezza, solo un pugno di mesi prima della presidenza italiana del G8.

***

IL COMMENTO

LA LINEA DEL BUONSENSO
DI MAURIZIO CAPRARA

Fino all'anno scorso, se un ambasciatore con uffici ben forniti di carta e di penne trovava nel bilancio della sua ambasciata soldi superflui nella voce per la cancelleria, neanche Ercole avrebbe potuto aiutarlo: era impossibile spostare il danaro in un altro capitolo sprovvisto di fondi con il passare dei mesi. In alcune delle 120 ambasciate italiane, le bollette della luce potevano risultare vittime del benessere imposto alle biro. Sull'energia elettrica, varie sedi sono state costrette a risultare morose. Nell'Italia del terzo millennio il buonsenso è spesso rivoluzionario. Sovversivo. Perciò sono occorsi anni per estirpare quel retaggio del passato che vietava una certa flessibilità nelle spese. È giusto che il danaro pubblico sia sorvegliato, nello Stato ce ne sono di sprechi da eliminare. Ma il nostro Paese taglia annualmente i fondi per la politica estera e sarebbe ora di rinunciare a una perversione della nostra burocrazia, l'attrazione per meccanismi contrari alla ragione. Dunque ben vengano i passi ulteriori nella riforma della Farnesina. Non ci si illuda però di essere arrivati. Esistono consolati diventati inutili, ne mancano altri dove servirebbero. Se un funzionario assegnato al Medio Oriente vuole studiare l'arabo, lo fa nel tempo libero. Per il personale non diplomatico non c'è un sistema di valutazione delle prestazioni fornite: chi è bravo vale quanto chi non lo è, chi è pigro vale quanto chi lavora. Da ministro degli Esteri ad interim, Silvio Berlusconi fece ingaggiare società di consulenza per una ristrutturazione. Produssero uno studio pieno di vocaboli inglesi che non cambiò le cose. Adesso non servono attese messianiche di business development director, partnership, benchmark. Si ricorra al buonsenso. Ne può derivare una sana rivoluzione.

***

Il Giornale, 30 aprile 2008, p. 30

FUGA PER LA VITTORIA GRAZIE A DUE ITALIANI

di Filippo Maria Battaglia

Ottobre 1939: da poco più di un anno l’Italia ha iniziato ad emanare le leggi razziali. Gli ebrei sono espulsi “dalle scuole del Regno”, “sollevati dagli incarichi e dalle cattedre universitarie”, cacciati dagli impieghi pubblici. Nel frattempo, a Varsavia il capo della polizia di sicurezza nazista, Reinhard Heydrich, dà ordine di costituire il Consiglio ebraico, il cosiddetto Judenrat. Ed impone la concentrazione degli ebrei: circa 150.000 persone devono essere aggregate in un’unica area entro tre giorni. Nel marzo del 1940, la zona sarà definita “infetta”. Il 27 dello stesso mese lo Judenrat riceverà l’ordine di costruire un muro perimetrale: cingerà ciò che resterà tragicamente noto come “Ghetto di Varsavia”.
In quelle settimane, due diplomatici italiani, Mario Di Stefano e Giovanni Vincenzo Soro, spesso con il tacito consenso di alcuni dei più alti gerarchi fascisti, salveranno migliaia di polacchi ebrei. Fino ad oggi, la notizia è rimasta praticamente inedita. La vicenda è ora raccontata da Sergio L. Minerbi nel numero della rivista “Nuova Storia Contemporanea”, diretta da Francesco Perfetti (Le Lettere, pagg. 168, euro 10,50), che sarà in libreria da lunedì prossimo.
Dopo l’occupazione nazista di Varsavia, il 29 settembre 1939 quasi tutto il personale dell’ambasciata italiana di stanza in Polonia abbandona la capitale e, insieme con il governo polacco, va in Romania. Da lì, dopo venti giorni, fa rotta in Italia. L’unico che non rientra è Vincenzo Soro, a cui nei giorni seguenti è trasmessa “l’autorizzazione tedesca a recarsi per 15 giorni a Varsavia per chiudere l’Ambasciata”. Resterà lì per sette mesi e insieme con Mario Di Stefano salverà dallo sterminio nazista migliaia di ebrei e di aristocratici polacchi.
In Polonia, le notizie di deportazioni e di stermini di massa sono all’ordine del giorno. Di una Soro è addirittura testimone oculare: “A quell’epoca, - racconta il diplomatico in una testimonianza inedita rilasciata allo stesso Minerbi e pubblicata dalla rivista – fui per combinazione presente a un eccidio effettuato dalle truppe tedesche in un parco nelle immediate vicinanze di Varsavia”. Dopo la strage, il diplomatico decide così di scrivere “due rapporti che Ciano (allora ministro degli Esteri, ndr), non voleva presentare a Mussolini per non farmi passare dei guai, ma io lo pregai di farlo lo stesso, e infatti vennero consegnati direttamente a Mussolini”.
Le due relazioni hanno l’effetto sperato: “Ricevetti subito una risposta dal Conte Vidau (plenipotenziario al ministero degli Esteri, ndr), il quale mi autorizzò a rilasciare i visti necessari per salvare polacchi ebrei e non ebrei. Cominciai così a rilasciare i visti mentre in strada si allungava la fila dei richiedenti”.
Tra questi, c’è anche il rabbino capo di Gòra Kalwaria, Avraham Mordechai Alter, che in Polonia viene chiamato il “Papa degli ebrei”: con oltre 100.000 fedeli, la sua è una delle più importanti comunità di Hassidim in Polonia. In quella circostanza è Mussolini stesso – racconta Soro – a darmi istruzioni di ottenere che Alter e la sua famiglia potessero espatriare e recarsi in Palestina”.
Passano diverse settimane, ma il flusso di richieste non diminuisce. La disponibilità italiana è ormai sospetta, tanto che al consolato si affollano affaristi che tentano di farsi consegnare il visto più volte per poi rivenderlo. E giorno dopo giorno Berlino diventa sempre più diffidente verso i diplomatici stranieri a Varsavia.
Di Stefano decide così di scrivere all’ambasciata italiana a Berlino, sempre più sollecita a fare pressioni per “un tempestivo rientro”. La risposta di Bernardo Attolico, allora a capo della missione tedesca, è immediata: in un telespresso del 28 dicembre 1939 ricorda “l’opportunità di limitare il nostro interessamento presso le autorità del Reich in favore di cittadini polacchi, soltanto ai casi in cui si possa invocare l’esistenza di un interesse italiano”.
Alle pressioni di parte nazista seguono pure gli ostacoli burocratici. “A un certo punto i tedeschi mi domandarono: ma come può rilasciare dei visti per l’Italia se il vostro governo ha deciso l’espulsione degli ebrei stranieri?”. Per Soro, l’unica soluzione resta il visto di transito: “Per renderli plausibili, chiesi ad un amico, che era il Console onorario di Santo Domingo, di darmi il suo timbro. Egli accettò ed io apponevo su una pagina il timbro del visto italiano e sull’altra quello di Santo Domingo”.
Ma i guai non sono destinati a diminuire. Adesso l’obiezione dei nazisti è un’altra: “Come andranno a Santo Domingo senza biglietti di imbarco?”. Soro si rivolge così all’agenzia “Italia”, chiedendo “un pacco di biglietti di navigazione in bianco che riempivo di volta in volta e i numeri dei quali sarebbero stati comunicati alla sede centrale affinché non fossero onorati”.
Le attività sono così frenetiche che – complice il Ministero – Di Stefano e Soro mandano a Roma gli elenchi nominativi solo dopo aver già concesso i visti, senza chiedere quindi alcuna autorizzazione preventiva. Contravvenendo alla legge, i passaporti sono compilati solo una volta arrivati a Varsavia dagli stessi diplomatici italiani.
Finiti anche quelli, - continua Soro – “ci trovammo nell’impossibilità di aiutare le centinaia di ebrei che volevano abbandonare la Polonia. Pensai allora di emettere dei passaporti collettivi”. Il ministero degli Esteri è informato quasi quotidianamente; la sua complicità – come conferma il diplomatico – è evidente: “Fui sempre aiutato dal Conte Vidau, con la completa cognizione di Ciano che coprì sempre tutte queste attività”.


Presto però la condotta dei due diplomatici italiani diventa un vero e proprio caso politico: il 18 marzo 1940, durante l’incontro del Brennero, è Hitler in persona a chiedere a Mussolini la rimozione di Mario Di Stefano. Lo stesso giorno, Soro è costretto ad abbandonare Varsavia. Negli ultimi cinque giorni è riuscito comunque a concedere altri mille visti. Saranno utili a salvare altrettante vite umane dal più tragico sterminio del secolo scorso.

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Comments on "LA DIPLOMAZIA ITALIANA OGGI E IERI"

 

Blogger Narko said ... (8:24 PM) : 

...e i mass media sempre muti...

 

Blogger BLOG NEWS said ... (8:39 PM) : 

@Narko come il mio striscione per il V DAY 2 " TG NAZIONALI VERGOGNA D'ITALIA"

 

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