* Nome: Agostino
* Eta:31
* Citta:Montecatini Terme
* Non mi piace:Doppie facce
* Mi piace:Libertà
* Film:Horror
* Libro:La Favola di Cristo
* Colore:Nero
* Frase:Meglio primi all'inferno che secondi in paradiso
BLOG NEWS E M.A.V.A.F.F.A.N.C.U.L.P. CONDANNANO IL PAPA
CANNABIS : Morti ogni anno in Italia per consumo di tabacco: 90mila (dati del ministero della Salute)
Anni di carcere per cessione o vendita di tabacco: 0
Morti ogni anno in Italia per consumo di cannabis: 0 (dati del ministero della Salute e dell'Oms)
Anni di carcere per cessione o vendita di cannabis: da 6 a 20
NECROPOLIS - GULAG E LAGER.IT (Per non dimenticare )
...In tale articolo Hubbard paragonava la mente umana a un calcolatore elettronico molto complicato. Sosteneva che se un calcolatore ha un "marca 7", vale a dire un impulso che registra continuamente il numero 7 in tutti i calcoli, allora può essere paragonato alla mente umana aberrata. Ogni qual volta si facciano calcoli su un calcolatore con il "marca 7" tutti i risultati saranno scorretti in virtù di quel 7. Similmente tutte le menti umane hanno i loro "marca 7" che alterano l'accuratezza del calcolo mentale. L'unica difficoltà è che se nel caso del calcolatore il difetto è facilmente identificabile, con la mente umana non lo è, in quanto i "marca 7" vengono offuscati dalla giustificazione, dalla ragionevolezza e dalla paura. La parola ENGRAM fu presa a prestito dalla biologia dove significava "tessuto cellulare cicatrizzato" [traccia mnemonica permanente su una cellula] e in Dianetics fu adattata per intendere "cicatrice mentale"; descrive tutti i "marca 7" della mente umana. Più precisamente, l'engram viene definito come "una rappresentazione tramite immagini mentali di un'esperienza contenente dolore, incoscienza e una vera o presunta minaccia alla sopravvivenza; è una registrazione nella Mente Reattiva di qualcosa effettivamente avvenuto nel passato e contiene dolore e incoscienza, entrambi registrati nella rappresentazione tramite immagini mentali chiamate engram".
Venne così costruita un'intera nuova scienza della mente. L'engram dianetico potrebbe essere paragonato a ciò che la psichiatria chiama trauma, ma Hubbard lo delineò con maggiore accuratezza. Similmente la Mente Reattiva di Dianetics è qualcosa di paragonabile all'inconscio di Freud, ma anche in questo caso Hubbard fu più preciso nella sua definizione: "Mente Reattiva: una parte della mente di una persona che funziona totalmente su una base stimolo-risposta (dato un certo stimolo darà una certa risposta), che non è sotto il controllo della sua volontà e che esercita forza e potere di comando sulla sua consapevolezza, scopi, pensiero, corpo ed azioni. Essa consiste di massa da problemi sugli scopi, engram, engram secondari e locks". Le sue tecniche per ridurre il potere dell'engram - cioè i suoi metodi per trasformare le memorie inconsce in ricordi consci furono, agli albori di Dianetics, paragonabili alle teorie psicanalitiche. Tuttavia, quando Hubbard ampliò la portata della sua materia trasformandola in una filosofia religiosa - Scientology - introdusse precisione meccanica nel tentativo di aggirare le inter relazioni personali casuali che avevano assillato i metodi dianetici originali e, al contempo, introdusse elementi di esoterismo e di misticismo. Ed è quest'ultimo elemento che distingue Scientology dalle altre forme di psicoterapia.
...Tentativi analoghi a quelli descritti avvengono, oltre che a Roma, anche a Milano, Napoli, Palermo, Reggio Emilia e altre citta'. E' curiosa la "versione rurale" di queste iniziative: a Cave, un paese a una sessantina di chilometri da Roma, feudo elettorale di Giulio Caradonna e situato vicino ad Artena, dove Junio Valerio Borghese ha un castello e una tenuta, viene costituita la locale sezione del Fronte Nazionale. La propaganda svolta tra i contadini, molti dei quali sono iscritti al PCI, avviene con la diffusione del libretto rosso di Mao Tse Tung e con argomentazioni prese a prestito dai giornali dei gruppi marxisti-leninisti. Promotore dell'iniziativa e' un certo Lipariti, intimo amico di Caradonna e di borghese. Domenico Pilolli (Ordine Nuovo) e Alfredo Sestili (Avanguardia Nazionale) entrano nel Partito Comunista d'Italia marxista-leninista. Ambedue vengono scoperti e allonanati come provocatori.
Pilolli e' molto amico della contessa F. moglie di un colonnello del ministero degli interni, che diffonde a Roma il bollettini dell partito neonazista tedesco NPD. Alfredo Stestili, che ha partecipato al viaggio in Grecia con Mario Merlino, ha proposto spesse volte ai vari militanti del PCd.I di compiere attentati dinamitardi. Tre mesi dopo l'espulsione dal partito marxista-leninista, il 15 ottobre 1968 e' stato arrestato assieme ad altri quattro fedelissimi di Stefano Delle Chiaie per detenzione di esplosivi e per aver organizzato attentati alla sezione comunista del Quadraro e a un cinema dove si proiettava un film sui fratelli Cervi. Marco Marchetti. Tornato dal vaggio in Grecia lascia Ordine Nuovo e entra nel comitato di base del movimento studentesco del liceo Vivona. Scoperto e allontanato rientra in Ordine Nuovo e partecipa alla ricostruzione di Avanguardia Nazionale. L'elenco potrebbe continuare, in generale la tattica usata e' sempre la stessa: una volta infiltrati i fascisti svolgono il doppio ruolo di informatori (a favore dei loro stessi camerati che sono rimasti all'estenro, o della polizia, o di agenzie di stampa di destra) e di provocatori, proponendo attentati e cercando di causare scontri con la polizia. Ma anche quando non c'e' infitrazione, i fascisti tentano in tutti i modi di confondere le acque: basta pensare al gruppo di Stefano Delle chiaie che si presenta alla manifestazione contro la visita di Nixon a Roma con i bracciali delle guardie rosse. Un'altro personaggio assiduo ai cortei organizzati dai giovani di sinistra, il cosidetto "Lupo di Monteverde, alia Buffa, ex legionario e istruttore dell'associazione paramilitare Europa Civilta', alterna la tuta mimetica dei paracadutisti all'eskimo verde con il distintivo di Mao.
Trasposto nel mondo greco e latino, il culto di Horus, di Iside e di Osiride generò buona parte dell’iconografia che oggi riconosciamo come “cristiana”. Nei sotterranei di Roma è ancora possibile vedere la seguente pittura murale, risalente ad epoca romana, che raffigura Iside che allatta Horus bambino. Vi ricorda niente?
Il mito della nascita di semidei dall’unione di divinità e femmine umane era un caposaldo delle religioni pagane. In molti musei (ad esempio al Metropolitan di New York o all’ University Museum di Philadelphia) si possono ammirare alcune statuette raffiguranti Iside che tiene Horus tra le braccia, come una Madonna ante litteram. Con l'avvento della dinastia tolemaica (323 a.C.) il culto di Iside si diffuse in tutto il Mediterraneo. Caligola, nel 39 d.C., fece costruire nel Campo Marzio un grande tempio dedicato alla dea, l’Iseo Campense. Claudio, Nerone e Vespasiano favorirono in tutti i modi il culto di Iside. Troviamo questo culto ancora vivo e diffuso nel II sec. d.C., nella Roma degli Antonini, come ben testimoniano molti scritti letterari, tra i quali il più noto è certamente il grande romanzo latino di Apuleio, le Metamorfosi. Apuleio, imbevuto di culti e credenze orientali, fa di Iside il Deus ex Machina del romanzo, facendole riportare in forma umana l’infelice Lucio, trasformato in asino da un unguento magico sbagliato. Non stupisce, dunque, che i miti cristiani siano stati costruiti ricalcando quelli di una religione che era già nota e diffusa da secoli in ambito romano.
Ma perché Horus (e poi tutte le divinità che ne scopiazzarono la biografia, Gesù Cristo compreso) aveva scelto proprio il 25 dicembre per venire al mondo? Perché il mito della stella d’oriente e dei tre Re che la seguono? Il mito nasconde qui un fondamento squisitamente astronomico. La “stella d’oriente” non è altro che Sirio, la stella più luminosa del cielo notturno. Il 24 dicembre di ogni anno, Sirio – com’era già noto nei tempi antichi – si allinea con le tre stelle più brillanti della cintura di Orione. Queste ultime tre stelle vengono chiamate, oggi come nell’antichità, “I tre Re”. La linea retta descritta idealmente da queste 4 stelle (Sirio più “i tre Re” allineati) indica esattamente il punto dell’orizzonte dove il sole sorgerà il 25 dicembre. Ecco da dove viene l’allegoria della stella che, insieme ai tre re che la “seguono”, indica il punto dove il sole (cioè Horus) nascerà. Tutte le religioni successive, compreso il cristianesimo, hanno ripetuto questo schema narrativo senza comprenderne il senso e l’origine.
C’è anche un altro evidente motivo, pure astronomico, che spiega la data del 25 dicembre. Dall’inizio di dicembre, con l’approssimarsi del solstizio d’inverno, il sole, dopo essersi spostato incessantemente verso sud per sei mesi, si abbassa sempre di più sull’orizzonte. Il 22 dicembre raggiunge il suo punto più basso. Dopo di che resta fermo nello stesso punto per altri due giorni successivi, il 23 e il 24. Questo fenomeno, unito al freddo intenso e all’accorciarsi del periodo di luce, veniva equiparato dagli antichi ad una “morte” del sole. Improvvisamente, il 25 dicembre, il sole si alza di un grado sull’orizzonte, spostandosi verso nord, in una sorta di “rinascita” che fa prefigurare l’allungarsi delle giornate, il ritorno del caldo e la primavera. Il 25 dicembre di ogni anno Horus, dopo essere rimasto morto per tre giorni, risorgeva nuovamente, riportando la vita e la speranza sul mondo. Anche il mito della resurrezione dopo tre giorni è stato ripetuto “a pappagallo” dalle religioni più tarde, senza comprenderne il significato allegorico.
Ah, i 12 discepoli, come si sarà ormai capito, non sono altro che le 12 costellazioni dello zodiaco attraverso le quali il sole si sposta nel corso dell’anno...
Gli insegnanti di religione della Scuola Pubblica guadagnano di più ed hanno maggiori diritti di te.
La Rosa nel pugno e Anticlericale.net promuovono una iniziativa, tesa alla parificazione dei diritti degli insegnanti della scuola pubblica al fine di evitare ingiustificate discriminazioni tra gli insegnanti di religione, che attualmente godono di un trattamento privilegiato, e gli insegnanti di tutte le altre discipline, sia di ruolo che precari. La questione trae la propria origine dalla incontestabile circostanza che soltanto gli insegnanti di religione precari (con contratto a tempo determinato) maturano scatti stipendiali e di anzianità che conservano anche dopo l’eventuale passaggio nei ruoli della scuola (assunzione a tempo indeterminato). Tale diritto è invece negato a tutti gli altri insegnanti che, da precari, non maturano ne scatti stipendiali ne di anzianità e quindi non conservano nulla al momento del loro eventuale passaggio nei ruoli della scuola (assunzione a tempo indeterminato). Per comprendere tale ingiustificata disparità di trattamento tra pubblici dipendenti, che di fatto viola precetti costituzionali e comunitari, oltre che leggi dello stato, bisogna partire dal percorso storico che ha caratterizzato l’evoluzione dello status degli insegnanti della religione cattolica Infatti, prima del 2003 agli insegnanti di religione (da ora IDR) nominati dall’ordinario diocesano, era consentito l’insegnamento della religione esclusivamente con lo status di “incaricati annuali" ed in tale qualità venivano assunti sempre e solo con contratti a termine della durata di ciascun anno scolastico, senza alcuna possibilità di entrare nei ruoli organici della scuola con contratto a tempo indeterminato. Per tale motivo, nel 1980, era stato loro riconosciuto il diritto a scatti biennali di aumento dello stipendio mensile del 2,50%. Inoltre nel 1988 venne loro riconosciuto il diritto agli scatti di anzianità previsti per gli insegnanti a tempo determinato. Tale riconoscimento dell'anzianità di servizio non veniva (né viene) riconosciuto a nessun altro insegnate precario con incarichi annuali di tutte le altre materie diverse dalla religione ma tale disparità, seppur non condivisibile, poteva ritenersi legittimata dall'impossibilità, per l'insegnate di religione, di entrare in ruolo (cioè di essere assunto dallo Stato con un contratto a tempo indeterminato). La Legge 186/2003, innovando il precedente sistema, ha discutibilmente previsto, trattandosi di insegnamento non obbligatorio, la creazione dei ruoli degli insegnanti di religione ed ha fissato le modalità per l’accesso agli stessi (concorsi etc.). In tal modo gli IDR hanno perso tale diversità di status, rispetto agli altri insegnanti, potendo anch'essi ottenere la stabilizzazione del rapporto lavorativo con contratti a tempo indeterminato attraverso l’ingresso nel ruolo. A seguito dell’entrata in vigore di tale legge gli IDR, lungi dal trovarsi in una situazione di svantaggio, si sono venuti a trovare in una condizione normativa certamente privilegiata rispetto a tutte le altre categorie di insegnanti godendo, per quanto riguarda gli incaricati annuali, della possibilità di incrementare la propria retribuzione in forza degli scatti stipendiali del 2,5% a biennio e di conservare tale incremento in caso di immissione in ruolo, nonché di vedersi riconosciuta l’anzianità di servizio maturata in qualità di precari anche negli scatti di anzianità previsti per il personale di ruolo. In sostanza agli insegnanti di religione precari, e solo a loro, dopo ogni biennio scatta un aumento stipendiale pari al 2,50% della retribuzione, mentre agli insegnanti di tutte le altre materie tale aumento stipendiale è precluso. Da ultimo, alla fine della precedente legislatura, è intervenuta la L. 3 febbraio 2006, n. 27 che, all’art. 1-ter, ha testualmente previsto che «Ai fini applicativi dell’articolo 1, comma 2, della legge 18 luglio 2003, n. 186, gli insegnanti di religione cattolica destinatari dell’inquadramento nei ruoli previsti conservano, a titolo di assegno personale riassorbibile con i futuri miglioramenti economici e di carriera, l’eventuale differenza tra il trattamento economico in godimento e quello spettante in applicazione del suddetto inquadramento». Ciò significa che l’insegnante di religione che, in ipotesi, abbia lavorato per oltre 6 anni con incarichi annuali non solo ha maturato tre scatti stipendiali del 2,50% ciascuno (per un totale di aumento retributivo del 7,50%) ma, una volta superato il concorso pubblico ed entrato in ruolo, conserva tale aumento retributivo (anche per il primo anno: che è un anno di prova): vale a dire che, nell’ipotesi ora portata, avrà lo stipendio maggiorato del 7,50% rispetto allo stipendio di ingresso. Mentre un insegnante di una materia diversa dalla religione, nelle stesse condizioni, non matura alcun aumento stipendiale durante il periodo di precariato (incarichi annuali) e, conseguentemente, pur avendo avuto lo stesso iter professionale di un insegnante di religione, qualora superi il pubblico concorso ed abbia ingresso nel ruolo della sua materia di insegnamento, avrà come trattamento economico soltanto lo stipendio base iniziale: cioè un trattamento economico che non tiene conto degli anni di insegnamento nella scuola pubblica in qualità di precario con incarichi annuali. Inoltre all’IDR immesso in ruolo, oltre a mantenere invariata la retribuzione in forza degli aumenti biennali di stipendio conseguiti in qualità di incaricato annuale (precario), viene riconosciuta l’anzianità maturata ai fini del conseguimento degli scatti di anzianità previsti per gli insegnanti di ruolo, mentre tale prerogativa non riguarda gli insegnanti delle altre materie che, una volta immessi in ruolo, partono dalla retribuzione iniziale.
Appare chiaro come vi sia una discriminazione intollerabile dal nostro ordinamento giuridico tra gli IDR e gli insegnanti delle altre materie che si pone in insanabile contrasto con principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico che impongono alla P.A. un comportamento connotato dall’imparzialità (art. 97 Cost.) nonché con norme fondamentali come il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., e con il D. Leg.vo 9 luglio 2003 n. 216 che, dando attuazione alla direttiva 200/78/CE, ha sancito la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro.
Inoltre, e ben prima dell’ora richiamato intervento giuridico, la Corte di Cassazione aveva più volte affermato il principio della parità di trattamento nel pubblico impiego, sempre facendo riferimento agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Ciascun insegnante di ruolo e precario vanta, nei confronti del Ministero della Pubblica Istruzione un credito che va da un minimo di circa € 2.500 ad un massimo di circa 15.000 conservando l’aumento stipendiale e gli scatti di anzianità per il futuro. Nel comparto della Scuola Pubblica sono addetti circa 1.300.000 insegnanti di cui circa 340.000 precari.
L'occupazione della città cinese di Nanchino, il 13 dicembre 1937, uno dei momenti culminanti dell'invasione del territorio cinese da parte del Giappone, fu il momento più tragico e violento del comportamento criminale giapponese. Le vittime furono da 260.000 a 350.000 (secondo altri calcoli, i morti furono circa 350.000 e le donne violentate tra 20.000 e 80.000). Tutte uccise brutalmente, con una crudeltà ed una ferocia inaudite: decapitate dalle spade degli ufficiali giapponesi, sepolte vive, bruciate, bastonate, date in pasto ai cani, con un sadismo degno dei peggiori assassini.
Vi furono, per esempio, gare tra ufficiali giapponesi a chi riusciva a decapitare con la propria spada più persone nel minor tempo (e di queste gare venivano anche pubblicate notizie e foto sui giornali giapponesi dell'epoca); molti soldati spedirono alle proprie fidanzate i teschi delle vittime, altri fotografavano le stragi o gli stupri per averne un ricordo. Le violenze furono decise in parte dai comandanti supremi (è una pratica comune durante le guerre, per far sfogare alle proprie milizie tutta la rabbia, l'oppressione, l'isteria, l'adrenalina, accumulata durante le battaglie, ndr):
leggittimati dai propri superiori, i soldati si abbandonarono così alle peggiori efferatezze contro la “razza inferiore” cinese. La vicenda è stata ricostruita da Iris Chang nel libro “Lo Stupro di Nanchino. L'Olocausto Dimenticato della Seconda Guerra Mondiale” (Milano, Corbaccio, 2000)
...L'uso moderato ed occasionale di cocaina non provoca serie conseguenze, salvo controindicazioni legate a reazioni di ipersensibilità alla cocaina. L'uso cronico e prolungato, invece, può creare seri problemi a livello di diversi organi od apparati: a livello del sistema cardiovascolare può provocare - in concomitanza di altri fattori di rischio (quali fumo di sigaretta, sedentarietà, soprappeso) - aritmie, infarto miocardio ed emorragie cerebrali; può causare l'aggravamento o determinare l'insorgenza di diversi disturbi psichiatrici (psicosi, disforia, attacchi di panico, delirio, allucinazioni, paranoia, iperattività e sensazione di grandiosità, tremori, tic, convulsioni, comportamenti aggressivi e violenti), che sono generalmente seguiti da profonda depressione del sistema nervoso centrale accompagnata da depressione respiratoria e circolatoria. Possono anche verificarsi altre complicanze a livello periferico, quali nefrotossicità, aumento della temperatura corporea, perdita di peso, riniti, sinusiti, ulcerazioni nasali ed oro-faringee, broncospasmo, polmoniti, ipertensione polmonare, deterioramento dell'udito, del gusto e dell'olfatto, iperprolattinemia e disfunzioni sessuali, rash cutanei, mialgia e debolezza muscolare, rabdomiolisi. L'uso di cocaina in gravidanza è causa di diverse anomalie nel feto, che vanno dal basso peso alla nascita ad anormalità a carico di diversi organi, fino alla morte improvvisa nella culla e all'aborto spontaneo. In seguito all'uso intranasale, la morte può verificarsi anche a causa dell'assunzione di piccole dosi, mentre l'uso endovenoso può produrre morte improvvisa per tossicità cardiaca. La cocaina di strada (ne esistono diversi nomi, come free-base, crack, rock, speedball, baseball, coke, snow, e Dama Bianca) spesso contiene impurità, tra cui amfetamine, eroina e altre sostanze che possono contribuire alla tossicità.
A prescindere da quello voluttuario, attualmente l'uso della cocaina è quasi interamente ristretto a procedure chirurgiche che riguardano l'anestesia del naso, gola, bocca ed orecchio; è usato in ambito pediatrico per la riparazione di piccole lacerazioni al viso e come unguento contro le emorroidi...
Quindi , tanto per cambiare , mi sono permesso di scrivere una mail a Mauro Pesce e questa è la sua risposta :
Gentilissimo signor Priami andrò a vedere subito il Suo blog.
Ma non credo che ci si i debba preoccupare molto.
All'Università dello Stato esistono da più di trenta anni diversi insegnamenti di esegesi biblica in diverse sedi universitarie e sono biblisti, oltre al sottoscritto, anche Edmondo Lupieri, Claudio Gianotto, Pier Franco Beatrice, Giorgio Jossa e tanti altri. Numerosi Giovanni hanno fatto un dottorato di esegesi presso L'Università di Bologna.
Metterò on-line prima o dopo queste informazioni sul mio sito, ma anche sul sito del dottorato dell'Ateneo di Bologna. Quando alle mie pubblicazioni esegetiche, basta leggere la lista delle pubblicazioni (sul sito www.mauropesce.net., ma nessuno si fa convincere se non vuole.
Le associazioni bibliche nazionali e internazionali sono piene di biblisti che non fanno parte di Facoltà teologiche e che non sono sacerdoti cattolici o pastori protestanti. Dagli anni Sessanta esistono negli Statiti uniti i Dipartimenti di Studi religiosi e non solo le divinityy schools.
una cordiale saluto
grazie della stima Mauro Pesce
Mauro Pesce è nato a Genova 21.3.1941. E' sposato con Adriana Destro (Prof. di Antropologia Culturale, Università di Bologna) dal 1.10.1966. Ha tre figli: Stefano (19.10.1967); Sara (11.5.70); Simona (8.10.73). Dal 1987 è prof. ordinario di Storia del Cristianesimo - Università di Bologna, Dipartimento di discipline storiche
Nel 1979 fonda l'Associazione italiana per lo studio del giudaismo di cui è segretario per i primi 4 anni. Nel 1988 fonda il CISEC - Centro Interdipartimentale di studi sull'Ebraismo e sul Cristianesimo dell'Università di Bologna.Piazza san Giovanni in Monte 2, 40124 Bologna
Periodi di studio e ricerca all'estero: - 1968/70 Bonn e Würzburg - 1972-73 Gerusalemme - Brown University (Providence R.I.) Settembre 1986 (Visiting Scholar) - Brown University (Providence R.I.) Settembre-Novembre 1990 (Visiting Scholar) - Yale University (New Haven CT) 1-15 Aprile 1992 (Visiting Professor) - Gerusalemme: Settembre 1992 - Brown University (Providence R.I.) Settembre 1993 (Visiting Scholar) - Sofia e Varna (Bulgaria) (Luglio 1996) - Brown University (Aprile 1997) - University of Yerevan (Armenia) (settembre 1997) - Parigi, Ecole Pratique des Hautes Etudes, maggio 2007. - attualmente insegna presso la Facoltà di Lettere di Bologna i seguenti corsi
1. Storia del cristianesimo 2. Storia del cristianesimo antico 3. Storia del Cristianesimo (nelle lauree specialistiche) 4. Storia del cristianesimo antico (nelle lauree specialistiche)
E' coordinatore del Dottorato in Studi religiosi: Scienze sociali e studi storici sulle religioni dell'Ateneo di Bologna il quale prevede tre curricula:
- Antropologia culturale delle religioni (diretto da Adriana Destro)
- Studi storici sulle religioni (diretto da Umberto Mazzone)
- esegesi dei testi neotestamentari e protocristiani (diretto da M.Pesce)
Mauro Pesce è con-direttore della collana di commenti al Nuovo Testamento ideata da Peter Arzt-Grabner:
Stefano Rosso, pseudonimo di Stefano Rossi (Roma, 7 dicembre 1948 – 15 settembre 2008) è stato un cantautore e chitarrista italiano.
Io lo voglio ricordare così : "Una Storia Disonesta 1976", in cui, in un racconto ironico e divertente post-sessantottino, faceva capolino, forse per la prima volta nella canzone italiana, lo spinello
Si discuteva dei problemi dello stato si andò a finire sull'hascish legalizzato che casa mia pareva quasi il parlamento erano in 15 ma mi parevan 100. Io che dicevo "Beh ragazzi andiamo piano il vizio non è stato mai un partito sano". E il più ribelle mi rispose un po' stonato e in canzonetta lui polemizzò così:
"Che bello due amici una chitarra e lo spinello e una ragazza giusta che ci sta e tutto il resto che importanza ha? che bello se piove porteremo anche l'ombrello in giro per le vie della città per due boccate di felicità".
"Ma l'opinione - dissi io - non la contate? e che reputazione, dite un pò, vi fate? la gente giudica voi state un po' in campana ma quello invece di ascoltarmi continuò:
"Che bello col pakistano nero e con l'ombrello e una ragazza giusta che ci sta e tutto il resto che importanza ha?"
Così di casa li cacciai senza ritegno senza badare a chi mi palesava sdegno li accompagnai per strada e chiuso ogni sportello tornai in cucina e tra i barattoli uno che....
"Che bello col giradischi acceso e lo spinello non sarà stato giusto si lo so ma in 15 eravamo troppi o no?". E questa amici miei è una storia disonesta e puoi cambiarci i personaggi ma quanta politica ci puoi trovar
BLOG NEWS E M.A.V.A.F.F.A.N.C.U.L.P. CONDANNANO IL PAPA
Dopo il Papa banner del Burbero scontroso ecco un nuovo Papa banner : in collaborazione con M.A.V.A.F.F.A.N.C.U.L.P. !!!
Ratzinger. Il 25 novembre 1981 papa Giovanni Paolo II lo nominò prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, l'organo della Santa Sede che si occupa di vigilare sulla correttezza della dottrina cattolica, carica che manterrà fino all'elevazione al soglio pontificio.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE Lettera Ad exequendam. Inviata dalla Congregazione per la dottrina della fede ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e gerarchi interessati, circa i delitti più gravi riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001: AAS 93(2001), 785-788. La Lettera apostolica in forma di motu proprio di Giovanni Paolo II Sacramentorum sanctitatis tutela del 30.4.2001 (cf. nn. 575-580) rispondeva al preciso scopo di "definire più dettagliatamente sia ‘i delitti più gravi commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti’, per i quali la competenza rimane esclusiva della Congregazione per la dottrina della fede, sia anche le norme processuali speciali ‘per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche’". Le Norme sono contenute in questa successiva Lettera. Riguardo alla definizione dei "delitti più gravi", la principale novità riguarda la pedofilia, ovvero "il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età" (prima erano 16). Riguardo invece alle novità procedurali, i vescovi svolgeranno indagini preliminari e segnaleranno i casi alla Congregazione, la quale deciderà se lasciare la causa agli stessi ordinari o avocarla a sé: i procedimenti di questo genere, inoltre, sono soggetti al segreto pontificio.
Negli Stati Uniti esiste un sito ,Database of Publicly Accused Priests in the United States, che ha raccolto tutti i dati sui preti pedofili statunitensi. Si tratta di un data base imponente, con oltre 2900 nomi divisi consultabili per nomi, diocesi di appartenenenza, stati di residenza. Solo poche diocesi sono risultate immune da casi di pedofilia con una media di una cinquantina di preti pedofili per diocesi, con punte di oltre trecento in stati come il Massachusset (Boston). Non pochi casi isolati, dunque, poche mele marce tolte le quali le altre si salvano.
...Documenti ufficiali del Partito Comunista Cinese datati 26 agosto 1954 menzionano il laodong gaizao come "un processo di riforma dei criminali attraverso il lavoro, essenzialmente un metodo efficace per eliminare i criminali e i controrivoluzionari". Il termine laogjiao (laodong jiaoyang - rieducazione attraverso il lavoro) si trova in documenti del 3 agosto 1957. Nel 1988, il Ministero di Giustizia descrisse gli scopi del sistema dei laogai in questo modo: "lo scopo principale dei laogai è quello di punire e riformare i criminali. Per definire concretamente le loro funzioni, essi servono in tre campi: punire i criminali e tenerli sotto sorveglianza; riformare i criminali; utilizzare i criminali nel lavoro e nella produzione, creando in tal modo ricchezza per la società". Secondo il tifa, che elenca i termini utilizzabili e pubblicabili in Cina, è illegale chiamare i laogai cinesi "campi di concentramento" o anche semplicemente "campi"; questi termini possono riferirsi ai campi nazisti, sovietici, o della Cina nazionalista. La condanna al laogai (in senso stretto) richiede un processo ufficiale e viene applicata a soggetti riconosciuti dalla legge come criminali, con pene di media e lunga durata di lunghezza stabilita; i detenuti sono privati dei diritti civili e non ricevono salario.
La condanna al laojiao ("rieducazione attraverso il lavoro") è riservata a coloro che hanno compiuto reati minori, per cui non sono legalmente classificati come criminali. I condannati conservano i diritti civili e percepiscono un modesto salario. Il sistema del laojiao viene spesso attaccato come lesivo dei diritti umani e civili. A questo tipo di condanna è infatti associato un iter giudiziario semplificato (e quindi potenzialmente più arbitrario), che permette alle amministrazioni e alla polizia locali di recludere i colpevoli senza processo. I detenuti "laogai" e "laojiao" non raramente vivono negli stessi complessi e lavorano insieme, e si distinguono soprattutto perché i primi indossano un'uniforme e hanno i capelli rasati. Il sistema dei jiuye ("personale addetto al lavoro forzato") riguarda invece l'assegnamento di un lavoro all'interno di una struttura carceraria. Anche il jiuye viene considerato con sospetto da molte fonti occidentali. Sebbene esso non implichi formalmente l'incarcerazione dell'individuo (che rimane teoricamente libero e percepisce uno stipendio regolare) la condizione del personale jiuye (che spesso è costituito da persone obbligate a prestare servizio nei campi) viene spesso descritta come "semi-carceraria". I lavoratori possono vivere insieme alle loro famiglie all'interno o nei pressi dei complessi carcerari e spesso sono ex-detenuti provenienti dal laogai. Esisterebbe il detto: "laogai e laojiao hanno una fine; jiuye è per sempre"...
...Tre giorni dopo la liberazione, il 28 aprile 1945, fu nominato da Cesare Merzagora commissario liquidatore dell'Agip, ente statale per la produzione (estrazione), lavorazione e distribuzione dei petroli. L'incarico avrebbe dovuto limitarsi alla liquidazione ed alla chiusura dell'azienda pubblica, ma appena si fu insediato, ebbe modo di valutare le potenzialità di sviluppo dell'ente, convincendosi che avrebbe potuto essere una risorsa di grande utilità per il Paese. Solo pochi anni prima l'Agip aveva infatti costituito la SNAM, una società dedicata, per gestire il nascente mercato del gas e realizzare metanodotti. L'anno prima, nel 1944, era stato perforato a Caviaga, alle porte di Milano, un pozzo esplorativo , provante la presenza di un giacimento di gas metano, che era stato quindi richiuso per timore che potesse cadere in mani tedesche. Tutto, aveva concluso Mattei, pareva dischiudere ad un florido sviluppo, anziché ad una liquidazione.
Superando e spesso di fatto ignorando le resistenze di alcune componenti politiche, soprattutto delle sinistre (che vedevano nel "carrozzone di stato" un retaggio della politica economica del fascismo e dunque spingevano per la sua soppressione), ma anche scansando talune manovre ostruzionistiche di esponenti democristiani filo-statunitensi, riuscì invece a risollevare il destino della società, che ben presto avrebbe imposto all'attenzione, non solo nazionale, come esempio della capacità italiana di risollevare il capo dopo la distruzione economica ed industriale subita a causa della guerra. L'esperienza di Mattei all'Agip prima, ed all'Eni poi, attraverso passaggi quasi sempre avventurosi, a volte coperti da un velo di mistero, con le caratteristiche del comportamento del personaggio Mattei, spesso sopra le righe, ma certamente non convenzionale, avrebbe posto le basi per il rilancio di un'azienda ritenuta improduttiva e costosa, destinata a scontrarsi con poteri consolidati da decenni nel settore degli idrocarburi, in particolare con il cartello delle cosiddette Sette sorelle, che all'epoca detenevano un sostanziale monopolio su quel mercato. Mattei si insediò il 12 maggio 1945, la sua nomina fu poi ratificata il 16 giugno da Charles Poletti, capo dell'amministrazione militare alleata. Il fratello Umberto veniva intanto nominato presidente del Comitato Oli e Grassi, mentre il fidato Vincenzo Cazzaniga, un dirigente della Standard NJ conosciuto, come Eugenio Cefis ed Alberto Marcora, durante la clandestinità partigiana, divenne presidente del Comitato Oli Minerali Carburanti e Succedanei...
Cantano Faccetta nera e non sanno che è tutto l’opposto di quello che cantano. Credono di celebrare il colore del fascismo e invece cantano ciò che il fascismo negò. Mi riferisco a quei ragazzi che alzano squallidamente il braccio nel saluto romano e intonano la canzone di Ruccione e Micheli per affermare la loro adesione al regime di Mussolini. Sbagliano e qualcuno deve pur dirglielo. Nel 1935, quando Mussolini prepara le operazioni militari contro l’Abissinia, vengono pubblicate ad arte notizie circa la schiavitù a cui sarebbero state sottoposte le giovani africane, vendute dalle famiglie. È questo un tema costante della propaganda fascista che tende ad attribuire all’invasione della nazione africana una motivazione nobile e civile. Il poeta romano Giuseppe Micheli, dopo aver letto queste notizie, scrive un testo (in romanesco, ma quasi identico a quello in italiano) con l’intenzione di presentarlo al concorso che si tiene ogni anno a Roma in occasione della Festa di San Giovanni. Non se ne fa nulla, ma poco tempo dopo la canzone – musicata dal maestro Mario Ruccione – conosce l’onore della ribalta al teatro Capranica, grazie all’interpretazione di Carlo Buti. Cui seguono quelle di Gabrè, Daniele Serra e moltissimi altri. Si tratta di Faccetta nera. «Si mo’ dall’artipiano guardi er mare – dicono le parole – moretta che sei schiava fra le schiave/ vedrai come in un sogno tante nave/ e un tricolore sventola’ pe’ te/ Faccetta nera bell’abissina/ aspetta e spera che già l’ora s’avvicina/ Quanno staremo vicino a te/ noi te daremo un’antra legge e un antro Re!/ La legge nostra è schiavitù d’amore/ ma libertà de vita e de penziere/ Vendicheremo noi, camicie nere/ l’eroi caduti e libberamo a te/ Faccetta nera piccola abissina/ te porteremo a Roma, libberata/ dar sole nostro tu sarai baciata/ starai in camicia nera pure te/ Faccetta nera sarai romana/ e pe’ bandiera tu c’avrai quella italiana/ Noi marceremo insieme a te/ e sfileremo avanti al Duce e avanti al Re!» Al cinema-teatro Quattro Fontane della Capitale, Faccetta nera viene cantata dalla compagnia della Fougez nell’interpretazione di Nino Taranto, Enzo Turco ed altri. In scena, compare in catene una giovane di colore, poi arriva la Fougez nelle vesti dell’Italia che la libera e le fa indossare una camicia nera. La canzone viene inserita in quasi tutte le riviste dell’epoca, diventa popolarissima, specie sulla bocca delle truppe in partenza per l’Africa. Avrà anche moltissime edizioni stampate e parecchi saranno gli editori e i compositori che se ne attribuiscono la paternità (uno è Gustavo Cacini, al quale la SIAE riconosce una percentuale sui diritti d’autore). In ogni caso, questa versione avrebbe già subito dei ritocchi rispetto a quella originale, che conteneva il verso «vendicheremo noi sullo straniero/ i morti d’Adua e liberamo a te», non gradito al regime in quanto riportava all’attenzione la disfatta italiana di Adua, pur avvenuta nel 1898. I versi vengono allora cambiati nel più generico «vendicheremo noi camicie nere/ l’eroi caduti e libberamo a te». Si vuole però che il Minculpop, il Ministero della cultura popolare, non gradisca in toto la canzone, in quanto fraternizzante con gli abissini, considerati razza inferiore, che i versi pongono invece sullo stesso piano degli italiani. Non sono ancora scattate le leggi razziali ma non ce n’è poi troppo bisogno perché i gerarchi fascisti diffidino di quei versi. Tant’è vero che in una pubblicazione musicale Campi Foligno, intitolata “100 radiocanzoni celebri” appare una versione rivista e corretta, consegnata – come si dice in seconda pagina – «alla Procura del Re ai sensi della legge sulla Stampa del 1932». Abbiamo segnato in corsivo le modifiche apportate, che appaiono assai significative: «Se tu dalle ambe or guardi verso il mare/ moretta ch’eri schiava tra gli schiavi/ vedrai come in un sogno vele e navi/ e un tricolor che sventola per te/ Faccetta nera ch’eri abissina/ aspetta e spera si cantò l’ora è vicina/ Or che l’Italia veglia su te/ noi ti portiamo un’altra legge e un vero Re!/ La legge nostra è libertà o piccina/e ti ha recata una parola umana/ avrai la casa e il pane o morettin/ e lieta potrai vivere anche te/ Faccetta nera ch’eri abissina/ aspetta e spera si cantò l’ora è vicina/ Or che l’Italia veglia su te/ avrai tu pure a Imperatore il nostro Re/ Faccetta nera il sogno s’è avverato/ non sei più schiava e più non lo sarai/ dal ciel d’Italia, libera, vedrai/ il sol di Roma splendere su te/ Faccetta nera ch’eri abissin/ tornò l’Impero ed or l’Italia è a te vicin/ La nostra Patria veglia su te/ e lo giuriamo al nostro Duce e al nostro Re».
Ecco dunque che gli altipiani diventano «ambe», forse per non confondere le nostre colline con quelle africane. «Moretta che sei schiava» diventa «ch’eri schiava», come a dire «missione compiuta». È coniugata al passato anche «già l’ora s’avvicina» (“si cantò”) mentre diventa al presente «noi ti daremo » col dire «or che l’Italia veglia su te». Scompare «la legge nostra è schiavitù d’amore»: sempre di una schiavitù si tratta, meglio dunque «la legge nostra è libertà, o piccina » con l’aggiunta di «una parola umana», di «casa» e di «pane». «Un altro re» enunciava poi un semplice scambio di corone tra Savoia e l’imperatore abissino Negus, meglio chiarire che quello italiano è «un vero Re», visto ciò che si è detto e si dirà del ras abissino, del quale l’Italia non riconosce (adesso) alcun diritto sul popolo. Infine, la fanciulla «ch’era abissina» (dunque ora è italiana) potrà vedere che dal cielo d’Italia il sole splende su di lei, come a dire che senza che debba essere portata a Roma le arriveranno comunque i nostri raggi solari. Senza che lei diventi romana, che indossi la camicia nera e che marci con le camicie nere, sfilando davanti al duce. Che resti dunque al suo posto che tanto «la nostra patria veglia su te…» Lo stesso Buti inciderà la nuova versione, insieme a Ti saluto… vado in Abissinia, per i dischi Columbia. Ma non servirà a nulla: ormai gli italiani hanno imparato la prima versione e quella cantano. La cantano oggi, come dicevamo all’inizio, anche i nostalgici della destra, identificando in quel “nera” il colore della fede, ma sbagliano, come si è visto, poiché nera è la faccia delle abissine, come è nera la faccia dei migranti che arrivano oggi in Sicilia e che non piacciono troppo ai ragazzotti della destra. Gianfranco Venè osservava che «Faccetta nera è sicuramente un documento importante per comprendere con quale stato d’animo i combattenti italiani iniziarono la guerra d’Africa . In questo senso ci sembra vadano riascoltate le canzoni di quel periodo, e in particolare Faccetta nera: proprio per cogliere, al di là degli immediati riferimenti politici, lo stato d’animo e i sentimenti dei volontari partiti alla conquista dell’Etiopia e per tornare a vedere la realtà di quel momento con i loro occhi. Quest’ultimo punto è particolarmente importante perché oggi ci si può domandare – ed è giusto che ci si domandi – come facesse la “faccetta nera” della canzone a sentirsi felice di lasciare il proprio paese, di essere portata a Roma, di rinunciare ai propri capi per venerare il duce e il re italiani, di gettare tra le sabbie la propria bandiera per accogliere festante il tricolore, come gli autori vogliono farci credere. Per schiava che fosse, “faccetta nera” era pur sempre nata in Abissinia, ed è assai discutibile la gioia che Micheli e Ruccione le promettevano nell’imporle la camicia nera, nel privarla del proprio costume e della propria terra, nel darle una bandiera mai vista. Tanto più che – come i fatti avrebbero dimostrato nel corso della guerra d’Etiopia – le “faccette nere” abissine, maschi e femmine, combatterono disperatamente prima di lasciarsi imporre il nostro duce e il nostro re». «Eppure – continuava Venè – la canzone gronda di schietta, autentica simpatia per la bella abissina. E ciò, forse, significa che i riferimenti fin troppo precisi al duce, al re, al fascismo e a Roma vanno presi come metafore. In realtà, gli italiani non pensarono mai di sovrapporre i propri sistemi di vita a quelli abissini: dicendo “romanità” essi, per lo meno la maggior parte di essi, cercavano di esprimere con un simbolo un concetto di civiltà rispettosa dell’individuo, bonaria, generosa, nemica della schiavitù e della divisione in caste realmente esistenti in Abissinia». Il regime cercava dunque di contrastare una troppo eccessiva fraternizzazione, con le «morette», anche alla luce di quanto era accaduto nelle precedenti esperienze coloniali, quando Crispi si era trovato ad affrontare il «madamato», ovvero i numerosi matrimoni di ufficiali italiani con donne africane e relativo formarsi di famiglie miste. Ma questo è evidentemente un tema che in quel momento non può essere sbandierato e che invece preoccupa, anche perché altri autori imbastiscono romanzetti erotico- sentimentali sullo sfondo della città eterna: rulli di tamburo, trombe marziali, poi la voce di Miscel che in dialetto svolge il tema Africanella, di Martelli, Simi e Neri (“Si vienghi a Roma co’ me, africanella…”) sempre prefigurando l’apparizione di donne di colore a fianco dei nostri soldati sui colli fatali di Roma. Altri autori scriveranno canzoni dal titolo di Faccetta bianca, per bilanciare il successo di Faccetta nera, ma senza riuscirvi. Insomma, una canzone che non celebra il fascismo, anzi ricorda quella simpatia verso la popolazione africana che proprio al fascismo non piacque affatto.
Può andare indifferentemente a benzina, gpl o ad alcool di canna da zucchero. In Brasile è ormai realtà. E, ovviamente, un grande successo .
Fin dalla crisi petrolifera degli anni '70 in Brasile si è venduto bioetanolo come carburante. Inizialmente i motori a benzina venivano modificati per ridurre i fastidi provocati da una scorretta combustione dell'etanolo.
La tecnologia flex è stata studiata negli anni 90 dalla Magneti Marelli per consentire, ai motori che la utilizzano, di rilevare in tempo reale qual è la percentuale di bioetanolo all'interno della miscela etanolo-benzina. In base alle informazioni rilevate, la centralina corregge la carburazione secondo i valori mappati per favorire la combustione.
In Brasile, le auto vendute nel 2005 con motore flex hanno superato le tradizionali auto a benzina grazie al risparmio garantito dall'alcool: mediamente il costo della benzina al distributore ha un costo doppio rispetto a quello dell'alcool.
Nel maggio 2003 la Volkswagen iniziò a commercializzare le prime auto con Motore flex e solo due mesi dopo la Chevrolet mise sul mercato un suo modello concorrente. In seguito tutti i marchi che vendono automobili in Brasile hanno dovuto proporre motorizzazioni di questo tipo.